Il MUSEC | Museo delle Culture di Lugano (Svizzera) ospita dal 29 giugno al 5 novembre 2023 la personale di Filipe Branquinho (Maputo, Mozambico, 1977), una delle voci più autorevoli, lucide e dissacranti dell’arte africana.
L’esposizione del MUSEC, curata da Kristian Khachatourian e Lidija Kostic Khachatourian, presenta una trentina di opere di grandi dimensioni (tecniche miste su carta cotone e fotografie) realizzate tra il 2019 e il 2022, nelle quali Branquinho indaga temi sociali, usanze popolari, mitologie e dinamiche urbane del proprio paese. I suoi lavori, che combinano tradizione e contemporaneità, sono attraversati da un tocco di umorismo e da uno spiccato senso per la satira, quale strategia per portare alla luce l’intreccio di valori e contraddizioni del Mozambico e comuni ad altri paesi africani. Con la sua arte, Branquinho mira a creare uno spazio in cui la critica sociale, mai fine a sé stessa, contribuisca al dibattito per migliorare la qualità di vita e il futuro di tutta una comunità.
Come riassume Lidija Kostic Khachatourian, “il lavoro di Filipe è molto profondo, scava nel cuore della cultura, della politica, dei modi di vivere del Mozambico, della bellezza naturale del paese, dei costumi, della corruzione e delle sue mostruosità”.
L’interesse di Filipe Branquinho a usare l’arte per affrontare temi di rilevanza politico-sociale nasce dal contesto stesso in cui l’artista è cresciuto, in cui il mondo del giornalismo si affiancava alla scena artistica della capitale, tra i cui esponenti vi erano importanti fotografi del ‘900 quali Ricardo Rangel, Kok Nam e José Cabral.
Nell’universo figurativo di Branquinho trovano spesso spazio le maschere tradizionali mapiko dei Makonde, un’etnia diffusa nel Mozambico settentrionale. L’artista utilizza le maschere come caricature per raccontare fatti e persone reali, come erano talvolta utilizzate anche nelle danze rituali segrete dei Makonde. Il titolo dell’esposizione, Lipiko, fa proprio riferimento al nome del danzatore che indossa la maschera mapiko e ne incarna l’inquietante spirito.
La mostra al MUSEC si apre con una selezione di opere della serie Lipiko, in cui Branquinho mette a nudo il vuoto socio-politico del Mozambico. L’ispirazione viene dallo scandalo da oltre 2 miliardi di dollari dei cosiddetti “Tuna bond”, fondi che dal 2012 dovevano finanziare un importante progetto di sviluppo della pesca e della lavorazione del tonno a Maputo, ma che sono stati in realtà riciclati e usati per corrompere funzionari di governo. La serie si compone di lavori che uniscono la tecnica fotografica a quella pittorica. Ritraggono fantasiosi pesci colorati e personaggi di potere (politici, faccendieri, giudici o avvocati), in cui le fattezze del volto sono sostituite dalle maschere tradizionali mapiko. L’insieme dei ritratti della serie è stata presentata nel 2019 alla Biennale di Venezia, nel Padiglione del Mozambico. La sezione comprende anche un cortometraggio di Martina Margaux Cozzi, anch’esso intitolato LIPIKO. THE ART of FILIPE BRANQUINHO, che rivela il processo creativo di Branquinho.
Il percorso espositivo prosegue con Bestiarium una serie di fotografie realizzate tra il 2020 e il 2021, in piena pandemia. Vi sono ritratte figure umane con il volto coperto da maschere zoomorfe che, unite alla gestualità del corpo, concorrono a sottolineare l’affinità tra la natura umana e quella animale. Questi “bestiari” di esseri immaginari diventano lo specchio dell’uomo, uno strumento per indagare una nuova e inquietante normalità della nostra contemporaneità. Gli scatti di Branquinho rivelano così un’inquietudine latente, che attiva una tensione tra l’osservatore e l’opera portando a domandarsi: quanto della bestia è dentro di noi?
Chiude la rassegna In Gold we Trust, una metafora, tanto sottile quanto ironica, della società mozambicana, dove personaggi grotteschi barattano i valori della loro cultura con prodotti dell’industria globalizzata del lusso: dalla moda al tabacco, dai jet privati alle scommesse sui cavalli, dai vini agli orologi. Sono tutti status symbol legati al dollaro americano, che l’autore trasforma in splendidi origami, le cui forme sono in seguito scansionate e sovrapposte alla tela finale, aggiungendo una nuova dimensione artistica e concettuale alle opere di Branquinho.
In esposizione, a contrappunto delle opere di Branquinho, vi sono 14 maschere makonde, in parte utilizzate dall’artista per creare un’installazione, in parte esposte accanto alle opere che le ritraggono.
L’esposizione è il secondo capitolo del progetto Global Aesthetics del MUSEC, dedicato all’esplorazione del rapporto tra l’arte contemporanea e il contesto ideologico e culturale in cui essa si muove, che prende avvio da Asia e Africa, oggi vivaci laboratori di sperimentazione artistica.
Accompagna la mostra un catalogo in lingua inglese pubblicato dalla Fondazione culture e musei nella sua collana “Global Aesthetics”.
Note biografiche – Filipe Branquinho è nato a Maputo, capitale del Mozambico, nel 1977 e vive oggi tra Maputo, San Jose’ (Costa Rica) e Madrid. È cresciuto durante la guerra civile in Mozambico, protrattasi dal 1976 al 1992, in un ambiente fortemente legato al mondo del giornalismo e delle arti. Si è avvicinato alle arti visive grazie ai contatti con alcuni importanti fotografi mozambicani, come Ricardo Rangel, Kok Nam e José Cabral. Ha studiato architettura prima in Mozambico e poi in Brasile, dove ha iniziato un processo di esplorazione autodidatta della fotografia e dell’arte che lo ha portato a diventare uno degli artisti più reputati del Mozambico. Ha presentato le sue opere in mostre personali e collettive in Mozambico, Mali, Emirati Arabi, Italia, Francia, Inghilterra e Svizzera. La mostra del MUSEC è la sua prima personale in Svizzera.