Da sabato 12 aprile 2025, Brescia si arricchisce di un nuovo spazio espositivo: la Cavallerizza – Centro della Fotografia italiana (via Fratelli Cairoli, 9), un polo culturale a disposizione di tutta la collettività, in particolare delle giovani generazioni, dove organizzare mostre, laboratori di fotografia e attività culturali, mirate alla valorizzazione e alla promozione dell’arte fotografica, specificamente a quella italiana.
La Cavallerizza s’inaugura con due mostre dedicate ad altrettanti maestri della fotografia contemporanea italiana: Giorgio Lotti e Maria Vittoria Backhaus.
Le due personali sono parte integrante del programma della ottava edizione del Brescia Photo Festival, manifestazione, promossa da Comune di Brescia e Fondazione Brescia Musei, in collaborazione con la Cavallerizza – Centro della Fotografia Italiana, con la curatela artistica di Renato Corsini, che propone un ricco programma di esposizioni dei nomi più interessanti e celebrati della fotografia italiana e internazionale, declinate attorno agli Archivi, ovvero a quei luoghi che custodiscono testimonianze che raccontano la storia della fotografia e del suo divenire.
Giorgio Lotti. Fotografo di un’Epoca è il titolo della rassegna ospitata dalla Cavallerizza dal 12 aprile all’8 giugno 2025, curata da Renato Corsini e Laura Tenti, che ripercorre la carriera di Giorgio Lotti (Milano, 1937), uno dei migliori interpreti del fotogiornalismo con una lunga collaborazione con riviste quali Epoca, Paris Match e Stern, i cui scatti sono conservati in prestigiosi musei americani, a Tokyo, Pechino, al Royal Victoria and Albert Museum di Londra, al Cabinet des Estampes di Parigi, al Centro Studi dell’Università di Parma e alla Galleria Civica di Modena.
Anticipatore delle grandi tematiche sociali degli ultimi anni, con le sue inchieste realizzate negli anni ’70 sull’inquinamento e sul fenomeno dell’immigrazione, Lotti ha sempre saputo raccontare, con un colto e lucido approccio, l’Italia che, dopo il boom economico, andava scoprendo un nuovo modo di intendere la vita.
Durante uno dei suoi innumerevoli viaggi, Giorgio Lotti ha realizzato una delle fotografie più iconiche del secolo scorso: il ritratto del capo di governo della Repubblica Popolare Cinese, Zhou Enlai. Da questo scatto emblematico è iniziato un viaggio ventennale alla scoperta di una terra allora ancora lontana dall’Italia del Dopoguerra. Ne sono nati reportage, libri e persino francobolli celebrativi. In quegli anni, il compito di Lotti era raccontare un Paese sconosciuto al grande pubblico: il volto della nuova Cina, la sua vita politica, le tradizioni, la quotidianità. “Ho avuto la fortuna di lavorare per i giornali, e in particolare per Epoca – ricorda lo stesso Lotti – dove sono rimasto per più di quarant’anni, un periodo felice in cui si faceva ancora vero fotogiornalismo. Dalla direzione, sempre aperta a nuove iniziative, ai giornalisti, con cui si andava nel posto giusto al momento giusto, il clima era quello di reciproca e fattiva collaborazione. Ne sono nate vere pagine di storia da tramandare alle generazioni future”.
La mostra, composta da un centinaio di fotografie in bianco e nero e a colori, ripercorre l’intera carriera di Lotti: dall’alluvione di Firenze del 1966, quando la culla del Rinascimento rischiò di scomparire sotto il fango, al disastro del Vajont del 1963; dal fenomeno dell’immigrazione, con il primo arrivo degli albanesi a Brindisi nel 1991 quando migliaia di persone sbarcarono in Italia, stipate su navi di ogni dimensione, al tema dell’inquinamento; non mancherà una selezione d’immagini dedicata ai ritratti dei grandi personaggi del mondo dello spettacolo e della cultura.
Una sezione si focalizza sui funerali di figure emblematiche del Novecento: da quello di san Padre Pio a San Giovanni Rotondo, a quello di Enrico Berlinguer, mentre un altro capitolo documenta l’impegno pluriennale di Lotti nel cuore del Teatro alla Scala di Milano, tempio della lirica, con i volti di chi vi ha lavorato, dai cantanti ai ballerini, dai direttori d’orchestra fino agli anonimi truccatori, costumisti e scenografi.
Completano la mostra alcune immagini tratte dalla serie Luce Colore Emozione, frutto della sua ricerca nel campo del colore e dell’arte.
“La fotografia per me è il saper vedere il mondo (non guardarlo) e raccontarlo”; sono parole di Maria Vittoria Backhaus (Milano, 1942), pioniera della fotografia al femminile, protagonista della personale, curata da Margherita Magnino e Carolina Zani e allestita alla Cavallerizza, dal 12 aprile all’8 giugno 2025.
La mostra restituisce una visione completa del lavoro di Backhaus, attraversando tutte le fasi della sua produzione, attraverso cento fotografie che documentano il suo viaggio artistico, dai primi scatti in bianco e nero legati al reportage di ambito sociale e di costume, realizzati per testate come Tempo Illustrato, ABC e Il Mondo, alla moda, fino all’introduzione del colore e del digitale.
I temi affrontati spaziano dalla Milano degli anni sessanta al circo, dai concorsi per cani ai fotoromanzi, ai ritratti di personaggi celebri come Caterina Caselli e Carla Fracci; e poi ancora i gioielli o i collage con statuette votive, a dimostrazione della straordinaria versatilità e del costante desiderio di sperimentazione che hanno caratterizzato il suo lavoro.
Un capitolo importante è dedicato alla fotografia di moda, affrontata con una iniziale diffidenza. Fu lo stilista Walter Albini a farle cambiare prospettiva e farle comprendere la vera essenza e a insegnarle quanto la moda fosse complessa, ben lontana dall’essere solo un capriccio estetico o qualcosa di effimero e superficiale.
Nel suo processo creativo, Maria Vittoria Backhaus costruiva sia il teatro che le scenografie. Il vestito e la modella non erano elementi fondamentali; ciò che contava davvero era il racconto. Non ha mai pensato alla fotografia come uno strumento per vendere un prodotto, ma come un mezzo per realizzare un progetto, per creare immagini che intrigassero e catturassero lo sguardo. Maria Vittoria Backhaus preferiva creare una narrazione attorno all’oggetto o alla modella, creando un racconto capace di restituire lo spirito dell’epoca e il contesto storico, portando il linguaggio del reportage all’interno della fotografia di moda.
Con queste due iniziative, il Brescia Photo Festival arricchisce il corpus di mostre personali organizzate attorno al palinsesto Archivi, inaugurato con la prima vera antologica italiana di Joel Meyerowitz, in corso fino al 24 agosto al Museo di Santa Giulia, e che proseguirà alla Cavallerizza dal 13 giugno al 7 settembre 2025 con la mostra di Sandy Skoglund e l’omaggio a Tinto Brass.